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Technology Addiction

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interaction design

Dipendenze tecnologiche

Technology Addiction

 

Gli interfaccia gestuali che consentono all’utente di navigare tra contenuti audio e video, scaricare immagini, testi, film e musica, attraverso comandi gestiti dai movimenti delle mani su uno schermo, oppure anche da soli gesti stando distanti dallo schermo, sono possibili grazie al mix della tecnologia Bluetooth con videocamere digitali o sensori a ultrasuoni e a infrarossi che comprendono il Body Language.

Quando Tom Cruise in ‘Minority Report’ guardava uno schermo e navigava tra immagini e mappe e sfogliando pagine virtuali con il movimento delle mani, sembrava la rappresentazione di un mondo lontano. Oggi è il presente, anzi è già il passato prossimo.

La stessa tecnologia ci guiderà nelle scelte che faremo nei supermercati, ci consentirà di avere risposte alle nostre domande, c’informerà negli uffici pubblici, nelle stazioni e nei bureaux degli alberghi. E modificherà i nostri comportamenti e le nostre relazioni sociali.

Si tratta di applicazioni disciplinate dall’Interaction Design, una declinazione del Design che studia la natura cognitiva dei sistemi interattivi i cui presupposti teorici sono stati delineati nel corso degli anni ottanta, La definizione Interaction Design infatti, viene coniata nel corso degli anni ottanta da Bill Moggridge (co-fondatore IDEO) e Bill Verplank (interaction designer e human-factor engineer) che per primi hanno usato l’espressione Interaction Design, superando ciò che prima era definito ‘user-interface design’, così da attribuire alla nuova disciplina del Design dell’interfaccia per gli utenti come tutte quelle funzioni con rendono il Design una disciplina disciplina integrata all’intero processo di ideazione e sviluppo di un prodotto.

Più tardi, all’inizio degli anni novanta, l’ Interaction Design si afferma come specifico ambito di sperimentazione ed operativo del Design. David Kelley, Mike Nuttel e Bill Moggridge, fondano nel ’91 IDEO, un ‘laboratorio’ che afferma a livello internazionale come Agenzia di progettazione di prodotti e servizi, con un approccio user-centred design. Ovvero un approccio in grado di fornire servizi di progettazione sulle applicazioni dell’interazione tra il sistema cognitivo umano e gli strumenti per l’elaborazione dell’informazione, ideando prodotti appropriati per i più svariati usi nei vari campi del lavoro, dell’educazione, del divertimento. Rivolgendo la ricerca non solo al miglioramento della funzionalità del prodotti tecnologici, ma a tutto ciò che risolve i bisogni dell’utente per migliorarne la vita. Si afferma l’idea di una tecnologia amica dell’uomo.

Si è arrivati oggi a progettare involucri dove l’uomo si può trovare completamente immerso nella Radio tattile del futuro (il cui prototipo è stato realizzato da un gruppo di designer dell’Interaction Design Institute d’Ivrea). Tune è la Radio tattile dove si entra per trovare nuove emozioni, esperienze visive, trasformazioni fluide dello spazio, che si accompagnano all’ascolto di suoni e musica e dove le luci irradiano immagini mutevoli in relazione ai programmi selezionati.

Nell’Ulster University, è stato allestito il prototipo di IMP (Individual Memory Projector), la scatola dei nostri ricordi. Si tratta di una sfera sul piano secante il suo Massimo diametro, si apre con una rotazione trasformandosi in un videoproiettore che interagisce con l’uomo riportandolo ai suoi ricordi, che vengono visualizzati su qualsiasi superfice Bianca con video e fotografie, accompagnati dai suoni e dagli odori dell’anbiente che viene rievocato.

I ricercatori dell’Università Carnegie Mellow di Pittsburgh, hanno realizzato il prototipo di The Hug, il cuscino d’affetto che avvicina sensorialmente la persona che si chiama al telefono. Il cuscino è in effetti un robot, che ha braccia e testa imbottite, e un software di riconoscimento di voci ed altri segnali che che durante la conversazione, risponde e saluta al microfono e attraverso luce e calore (emessi da speciali fibre termiche) e attraverso vibrazioni emesse in correlazione con i dati sensoriali ricevuti dall’apparecchio gemello, riproduce l’interazione umana.

La tecnologia Oled (Organic Light-Emitting Diode), attraverso l’elettroluminescenza, consente di avere schermi flessibili, ultrasottili e ultraleggeri a tutto colore e con uno straodinario livello di brillantezza e definizione, utilizzabili come pc, come tv, o come cellulari. Si tratta di schermi che, dopo averli utilizzati, possono essere riavvolti su se stessi.

L’Interaction Design è un grande campo d’applicazione che permea di tecnologie i prodotti e i sistemi di prodotti artificiali che ci circondano. Seppure nascoste, le tecnologie sono ormai una presenza costante nella nostra quotidianità, che condizionano i nostri comportamenti, che ci propongono nuovi desideri, che stimolano in forme nuove i nostri sensi e l’intero nostro sistema percettivo, che ci aprono a nuove esperienze senza alcuna mediazione culturale, che ci sollecitano ad interagire con l’artificiale per modificarlo e modificare le nostre emozioni o per soddisfare i nostri bisogni.

L’Interaction Design, in quanto progetta nuove modalità d’interazione tra la persona e l’artefatto per semplificare il suo uso in rapporto alle tecnologie del software, e affichè la sua utilità sia accessibile con semplicità e sia culturalmente e socialmente fattore dì arricchimento dell’uomo, diversifica il suo ambito in campo operativi articolati (dal product design, al graphic design, dalla comunicazione visiva, al public design, dalle progettazione delle stesse interfacce, alla progettazione multimediale), richiede un complesso sistema di competenze (sulle tecnologie e l’ingegneria del software e dell’hardware, sui linguaggi delle specifiche forme di comunicazione; sulla cultura della progettazione e della produzione degli artefatti industriali, sulla sociologia, l’ergonomia la psicologia ecc.) .

I prodotti dell’Interaction Design non possono prescindere dalla tecnologia, non possono che misurarsi anche con l’immateriale e il virtuale, non possono che confrontarsi con linguaggi iconici universali. E l’uomo è il destinatario dei suoi prodotti.

L’imprescindibilità dell’uso di tecnologie sempre più nuove nei prodotti dell’Interaction Design ci fa riflettere sulle implicazioni di tale assoluta dipendenza. Tanto più che i prodotti di cui parliamo spesso sono immateriali e si animano e assumono una ragione di senso solo attraverso l’azione dell’uomo che con essi intragisce. È l’intervento dell’uomo e in qualche caso la sua sola presenza che ne dispiegano funzioni ed usi. È l’azione dell’uomo che può addirittura ne determinarne la forma, le sue possibili figurazioni, il suo suono, il suo profumo ecc. Ma quello dell’uomo è un ruolo attivo solo apparente i tratta di azioni solo apparenti poichè in effetti l’oggetto ha in sè il software che programma e gestisce tutte le configurazioni possibili dell’artefatto.

Nuove conoscenze scientifche e nuove tecnologie renderanno gli oggetti obsoleti e saranno a diposizione per animarne di nuovi. In un processo in cui più l’innovazione è accelerata, più è rapida l’obsolescenza dei prodotti, che resteranno solo come cimeli della cultura del consumo. E dove la rappresentazione dell’oggetto è virtuale, la sua immagine sparirà per sempre in un file illegibile e l’oggetto non si animerà mai più.

Nell’oggetto interattivo le icone sono i sistemi di codifica dei gesti che consentono l’interazione con l’uomo, sono universali, indipendenti dalla specificità dei luoghi d’uso, dove il linguaggio parlato il mondo figurativo e culturale, sono specifici del contesto di riferimento.

Le icone, e tutto ciò che standardizza l’interrelazione, e che deve necessariamente con l’intero pianeta, è omologato. Linguaggi e comunicazione si formalizzano in una sorta di Esperanto, che mentre accelera ed amplia le relazioni sociali nel grande villaggio globale, diviene fattore di ibridazione di tante forme d’espressione figurative in un’unica comunicazione con un Global Style.

Anhe rendere assolutamente semplici processi che in realtà nascondono una grande complessità tecnologica non solo è una finalità sociale, ma anche di mercato, di un mercato globale.

Infatti mentre oggi l’industria dei telefonini in Giappone è in difficoltà, nostante la straordinaria capacità d’innovazione tecnologica (è stata la numero uno a trasformare il telofono cellulare in un oggetto intelligente, lo Smartphone ad esempio), l’industria europea e Americana hanno meno sofferenza. Numero uno nell hardware, nelle varie Nec, Panasonic, Sharp, è l’industria giapponese che per prima (1999) ha inserito la posta lettronica mobile, la videocamera (2000) la prima a scaricare le reti di terza generazione (2001). La prima a consentire di scaricare la musica sul cellulare (2002), a effettuare pagamenti elettronici (2004) e la tv digitale (2005), e con l’I-Mode ad utilizzare il telefono mobile come strumento di comunicazione centrale per lavorare, divertirsi, fare acquisti. Nonostante ciò sono l’europea Nokia e l’americana Apple, che hanno invaso il mercato planetario grazie a prodotti facili da usare, eleganti nel design e comprensibili ovunque e da chiunque.

 

Insomma, nell’Interaction Design ci sono implicazioni culturali, etiche, sociali e vorrei dire responsabilità deontologicne che in questo numero di DIID vengono esaminate e approfondite.

Nell’Opening attraverso i diversi punti di vista di Derrick De Kcherckove, Donald Norman e Bruce Stirling che affrontano il ruolo della tecnologia e l’evoluzione dell’Interaction Design nell’era della crisi dei flussi finanziari; mentre Lorenzo Imbesi rilegge la storia della tecnologia come progettazione dei comportamenti, dagli utensili del paleolitico fino ad internet of things.

Nella rubrica Designer attraverso il confronto di diverse espressioni di progettazione al cui centro al centro c’è tecnologia e interazione: quella di Diana Eng, una wearable designer emergente che lavora sulla tecnologia da indossare, tra moda e digitale; quella di John Maeda graphic designer, artista visuale e computer scientist, tra interfacce digitali e comunicazione, è fondatore di ‘simplicity’, progetto per semplificare la vita delle persone; quella di Ranjii Makkune che realizza allestimenti interattivi e ambienti immersivi con un’attenzione alla comunicazione interculturale; quella di Antony Dunne e Fiona Ruby che utilizzano il design come medium per stimolare il dibattito tra designers, industria e utenti sulle implicazioni sociali, culturali ed etiche delle tecnologie emergenti; infine quella dei NoDesign che progettano componenti d’arredo come interfacce interattive che si insinuano negli spazi domestici.

Nella rubrica Innovation&Research, attraverso due ricerche svolte al MIT di Boston: SENSEable City con le sperimentazioni sui flussi e le trasformazioni che la moltiplicazione dei sensori e delle tecnologie mobili lasciano emergere nella metropoli contemporanea; Mobile Experience Lab con le ricerche sulle connessioni tra persone, informazioni e luoghi fisici, elaborate con le più recenti tecnologie.

Altre rubriche esaminano o riesaminano esperienze che con l’Interaction Design hanno relazioni consapevoli o indirette.

Nella rubrica Factory si rilegge il caso della LEGO, il marchio di mattoncini impilabili, che non è solo un’azienda che produce, ma un vero e proprio ‘laboratorio di sperimentazione’: non una fabbrica di giocattoli ma la fabbrica dell’ingegno, ingegno che sviluppa nuovi giochi e ingegno sviluppato, di chi gioca.

Nella rubrica Open Space si racconto i contenuti di una recente Mostra alla Triennale di Milano su una forma speciale ed invisibile di interazione: Oggetti Sonori racconta il rapporto tra progetto, suono e fruizione.

Nella rubrica CloseUp, infine, Alex Soojung-Kim Pang racconta la storia del Mouse e delle sue sperimentazioni, sin dai primi rudimentali prototipi di laboratorio. L’oggetto fisico che attraversa la storia del computer unendo tecnologia e interazione.

 

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