Ross Lovegrove, La natura come materiale
Carlo Martino
[Designer] [diid 13|05]
Un profilo originale quello di Ross Lovegrove, designer inglese nato nel 1958 a Cardiff in Galles, con alle spalle un master al Royal College of Art di Londra, importanti collaborazioni con Frog Design e Julian Brown, e un ampio catalogo di prodotti di grande successo. Un esempio di coerenza linguistica e concettuale, nella cui opera è difficile leggere operazioni autoreferenziali o forzature formali, emerge invece una grande capacità di controllo tecnico ed un approccio al lavoro di designer proprio del ricercatore e dello sperimentatore. Un vero industrial designer, sia per formazione – la sua laurea con questa specializzazione al politecnico di Manchester – sia per professione – molteplici e variegati sono i settori merceologici e produttivi in cui si è cimentato. Un designer con un forte senso etico della professione, che vede l’utente, con l’insieme dei suoi bisogni materiali e immateriali, al centro dell’attenzione del progettista. Dichiara infatti che: “l’oggetto deve essere acquisito dall’utente e non solo acquistato”, il disegno dell’oggetto deve cioè provocare un processo di appropriazione. Lovegrove, con i suoi progetti, trasmette un profondo senso dell’essere contemporanei, attraverso l’uso di nuovi materiali e di tecnologie sperimentali, ma anche per mezzo dell’ottimismo e di una grande fiducia in un futuro migliore.
Una figura, quella di Lovegrove, che ha contribuito al successo, a partire dagli anni Novanta, del design anglosassone, ma che rispetto ai suoi colleghi, altrettanto noti, rappresenta un caso singolare.
Con la sua opera sembra infatti controbilanciare l’eredità di un design che si è sempre mosso a cavallo tra tradizione e trasgressione. Nei suoi prodotti sono numerosi i riferimenti colti e di memoria, riconducibili a tecniche o a emblemi della cultura e della tradizione del suo paese.
Ha dichiarato più volte di essere affascinato dall’artigianato, sia quello inglese delle sellerie e dei lavori in cuoio, sia quello africano, di cui possiede un’ampia collezione. Riferibili a questo interesse sono alcuni progetti da lui sviluppati, come le borse della linea Coachline, disegnate per l’azienda inglese Connolly, noto fornitore di rivestimenti in pelle per le carrozze reali, ma anche le numerose citazioni morfologiche tra cui per esempio la White-Bone-Chair, disegnata per l’italiana Ceccotti, nella cui articolazione strutturale è chiaramente visibile il riferimento alle tradizionali mazze da cricket. Tra gli aggettivi qualificativi utilizzati con frequenza per descrivere il suo lavoro è difficile non incontrare i termini “organico” e “seduttivo”, nelle diverse declinazioni: “nuovo organicismo”, “seduttività organica”, “organica essenzialità”, ecc. Effettivamente una parte consistente della sua produzione progettuale è facilmente associabile, per affinità linguistica e per evocazione iconica, a forme e strutture del mondo vegetale e in generale organico.
In questo approccio è chiaramente rintracciabile un lavoro sviluppato in continuità con quelle espressioni dell’arte, del design e dell’architettura che in passato hanno trovato nella natura, e nei suoi codici di crescita dei riferimenti forti. Parliamo di artisti come Henry Moore – dichiarato ispiratore – di Lovegrove, dell’art noveau o dell’organicismo scandinavo, ma anche di tracce di questi filoni stilistici nell’opera di Eames o dei connazionali Robin e Licienne Day. Organico per Lovegrove significa naturale, qualcosa che contiene intrinsecamente i principi dell’eleganza e della semplicità.
Organico significa mediazione, ricerca di forme che rendono spontaneo il rapporto con gli oggetti, che facciano compiere gesti istintivi come: sfiorare il bordo di una lampada per accenderla, o schiacciare un oggetto soffice e carnoso e ritrovarsi a scattare una fotografia. Naturale significa poter attingere ad un immenso repertorio di forme, di strutture morfologiche generate da adattamenti millenari a forze e fenomeni della natura. Significa anche poter progettare con i materiali della natura, o applicare le leggi di crescita proprie di strutture molecolari organiche, a materiali e oggetti artificiali. Lovegrove attraverso la sua opera ha dimostrato la reale fattibilità di questi assunti. Oggetti come la lampada fungo Agaricon – il cui nome significa appunto fungo in greco – o i famosi sistemi Solar Bud e Pod lens, lampade da sospendere o da infilzare nel terreno, ispirate di nuovo alle sagome dei funghi o ai baccelli dei fiori, rappresentano una modalità originale di trasferire modelli formali della natura nell’artificiale.
Ma fortemente innovativo risulta anche il tentativo di lavorare con la natura come materiale. Nei progetti Plantable Table Leg o Lugg Bicycle System, il bamboo è chiamato a svolgere funzioni strutturali in sostituzione dei tubolari metallici. Nel primo caso, la canna di bamboo, integrata con giunti in biopolimero, si offre come sostegno alternativo per piani e tavoli, restando impiantata nel terreno. Nel secondo, il bamboo si integra e partecipa al telaio strutturale di una bicicletta. Lovegrove, nel suo recente libro Supernatural, individua nella “natura come materiale” uno degli scenari di innovazione più probabili e interessanti del futuro. Geometrie delle ramificazioni, griglie e strutture molecolari, e dinamica dei fluidi sono alcune delle leggi di crescita, di movimento e di sviluppo della natura che interessano il designer.
A quest’ultimo aspetto dell’organico sono riferibili progetti di grande successo. L’Alessandri Office System, per la Hermann Miller, nel quale le geometrie degli alveari sono trasferite ed utilizzate come tema strutturale/decorativo per disegnare i piani in polimero trasparente dei tavoli per ufficio; oppure il sistema di scale a chiocciola DNA Staircase, sperimentato nel suo studio come sistema modulare in fibra di vetro rinforzata, ispirato, come si evince anche dal nome, alle spirali tridimensionali del DNA; per concludere con il progetto di tavoli per la Cappellini, Alluminium Liquid Table, nel cui disegno delle gambe, è evocato il disegno delle colate dei fluidi.
Ma è analizzando con maggiore attenzione i suoi prodotti, guardando al di la delle forme, o leggendo le sue testimonianze che si scoprono aspetti dell’opera di Lovegrove altrettanto interessanti.
Oltre all’organicismo sono infatti diversi i temi ricorrenti nella sua opera, tra questi la costante tensione verso l’innovazione tipologica, perseguita in maniera forte e audace. Una innovazione che guarda alla soluzione di problemi ma che denota un’approfondita riflessione sul rapporto tra oggetto e contesto. Si pensi al già citato Alessandri Office System, un sistema di mobili che comprende anche componenti architettoniche, mettendo in stretta connessione il pavimento galleggiante che si offre al passaggio di cavi – ma scherma anche le onde elettromagnetiche – con il sistema dei tavoli e dei contenitori; o ancora all’integrazione mimetica delle lampade Pod lens, nelle chiome di cespugli e arbusti. Il trasferimento tecnologico è un altro tema portante del lavoro di Lovegrove. Sentito come una consuetudine metodologica che guarda, scruta, indaga e curiosa in altri settori alla ricerca di trasferimenti fertilizzanti, la Cross-fertilizing è la modalità forse più naturale per un progettista che frequenta diverse tipologie merceologiche. In questa direzione è leggibile il suo interesse per il packaging, ed i tentativi di trasferirne materiali e geometrie su prodotti con diversa destinazione d’uso. Emblematico in tal senso è il progetto della poltrona e dello sgabello Air One e Air Two per Edra, in cui il polipropilene espanso, utilizzato in alcuni imballaggi termoisolanti, è trasferito nel progetto di sedute per esterno/interno, leggere e dall’esperienza tattile innovativa. Infine, ma non ultima, la ricerca verso la condizione limite dei materiali rispetto alle caratteristiche fisiche. Tra queste, per esempio, la trasparenza, che va letta come ricerca della purezza totale, resa sempre più possibile dall’abbandono nella produzione di energia dell’uso di combustibili fossili; ma anche la resistenza meccanica e strutturale, per cui la natura è chiamata, attraverso le sue architetture molecolari a suggerire modelli che si traducono in maggiore leggerezza e resistenza.
1 Marzo 2005
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diid disegno industriale | industrial design Book Series approfondisce l’evoluzione e gli esiti della ricerca e sperimentazione progettuale e teorica nel campo del design. Ogni numero accoglie lo sviluppo di un tema rappresentativo del dibattito che attraversa la fenomenologia del sistema prodotto nell’estensione tecnica e culturale. A comporre questo racconto a più voci e con diversi punti di vista sono chiamati ricercatori, studiosi e professionisti della scena nazionale e internazionale che compongono il Centro Studi diid.