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Per una “profezia” del design “oltre l’architettura”

Per una “profezia” del design “oltre l’architettura”

Giampiero Bosoni

[Thinking] [diid 59_15]

A partire dalla constatazione che alla Scuola del Design del Politecnico di Milano è stato attivato da più di un decennio un intero Corso di Laurea di cinque anni in Progettazione degli Interni, si propone una riflessione per leggere a ritroso l’intreccio che lega la cultura del design, particolarmente quella italiana, alla storia dell’architettura moderna. Punto di partenza della discussione è la scala di progetto degli interni, degli elementi mobili immessi nelle loro cavità come “aggettivi capaci di farle vibrare”, delle “architetture provvisorie”, che sono state insieme la palestra progettuale più originale della cultura architettonica razionalista italiana, dalla quale è scaturita come una “profezia” la cultura del design che ha aperto un campo di ricerca “oltre l’architettura”. Da questo nuovo e autonomo percorso progettuale del design degli interni è scaturita la consapevolezza di dare forma a paesaggi domestici in continuo mutamento dell’abitare contemporaneo.

#design #architettura #interni #abitare #temporaneo

Al Politecnico di Milano, dove a partire degli anni Venti del XX° secolo si è costituita la scuola milanese dell’architettura razionalista e all’interno della quale si sono formati quasi tutti i maestri del design italiano, da più di vent’anni è nata e si è sviluppata, tra architetture e ingegnerie, una specifica Scuola di Design. La forte espansione di questa Scuola ha determinato nel 2000 la sua suddivisione in diversi corsi di laurea, fra i quali spicca quello di Interior Design[1]. Identificare oggi un intero corso di laurea di cinque anni dedicato al design degli interni, può essere il punto di partenza per leggere a ritroso l’intreccio che lega la cultura del design, particolarmente quella italiana, alla storia dell’architettura moderna. Dal punto di vista storico è un dato acquisito che la cultura del design si è formata prevalentemente all’interno del processo evolutivo della cultura architettonica del XIX e di buona parte del XX secolo. La storia ci insegna che il riconosciuto valore estetico/funzionale del prodotto industriale si è definito attraverso il confronto della cultura artistica, in particolare di quella architettonica, con le radicali trasformazioni portate dalla rivoluzione industriale sino all’evoluzione compiuta del sistema fordista-
tayloristico. Quanto questo legame sia oggi, nell’epoca della terza[2] o quarta[3] rivoluzione industriale, ancora forte o semplicemente ancora esista, dipende molto dal punto di vista (geografico e culturale) da cui si vuol vedere questo storico rapporto.
La sconfinata espansione dei campi disciplinari e al contempo la proliferazione degli ambiti specialistici del progetto, hanno senza dubbio assottigliato e reso quasi invisibili i fili che hanno legato, e in alcuni casi ancora legano, questi due territori del progetto. È facile addurre che le aree di prossimità di queste due, ormai autonome, discipline sono da ricercarsi soprattutto nella storia degli oggetti per uso domestico, ma la cultura dell’abitare che il pensiero architettonico di matrice umanistica ha cercato di plasmare nel dibattito della modernità del XX secolo, per molti aspetti, si è trasferito anche a svariati ambiti tipologici della produzione industriale. Per tale motivo in quest’epoca di uniformante “globalizzazione” si può ancora osservare, a seconda dei paesi e delle varie tradizioni culturali da cui si generano le “forme” proprie di diversi modelli di società, diversi gradi di relazioni tra quello che una volta si sarebbe detto il “genius loci” di una specifica “cultura dell’abitare” e le “forme” degli oggetti d’uso provenienti da quei diversi ambienti culturali. Nel caso italiano abbiamo più volte ricordato[4] che lo stretto rapporto tra architettura e design ha le sue radici nell’originale dibattito teorico-critico scaturito tra le pieghe della pluriversa cultura di progetto generata nella prima metà del Novecento nell’alchemica e controversa amalgama prodotta da forti dualismi quali Futurismo e Metafisica, “Novecento” e Razionalismo, Figurativismo e Astrattismo. In tal senso, saranno le principali riviste attente all’evoluzione del progetto moderno, in primis Casabella e Domus, a precisare e valorizzare attraverso i commenti e i saggi dei loro direttori e redattori il disegno degli oggetti, sia artigianali che industriali, come ambito in cui ricondurre e verificare una visione moderna dei comportamenti e degli usi riferiti agli spazi dell’abitare a tutte le scale di progetto. D’altra parte ricordiamo che in principio tali riviste, come lo confermano gli specifici nomi originali[5], non nascono tanto per testimoniare la scala architettonica, quanto piuttosto la piccola e media scala degli oggetti e degli interni. Sicuramente la scala di progetto degli interni, intesi come cavità dove si immettono “aggettivi capaci di farle vibrare”[6] o dove “si immergono elementi che si tengono autonomamente uniti”[7], costituisce il paesaggio e la palestra in cui si forma un discorso
importante e forse il più originale della cultura architettonica razionalista italiana. Si potrebbero citare molti testi e molti casi dove riconosciamo quel particolare percorso progettuale in cui l’autonomo disegno degli oggetti, la leggerezza degli elementi, il carattere temporaneo e reversibile delle “architetture provvisorie”[8], il valore “atmosferico” degli ambienti, sono tra le espressioni più innovative e originali di quella “sostanza di cose sperate”[9] che ha segnato la cultura del progetto razionalista italiano. Un filo rosso che ritroviamo dalla fine degli anni Venti: pensiamo agli interni e agli allestimenti di Baldessarri che comprendono la sua particolare lampada Luminator portatrice di un innovativo valore “spaziale”[10], o guardiamo alle molte “macchine celibi” tra interno ed esterno idealizzate nei primi anni Quaranta, come la “Stanza di soggiorno in una villa” di Franco Albini alla VII Triennale di Milano del 1940, o le case ideali di Belgiojoso, Banfi e Peressutti presentate su Domus[11] del 1942. La grande scuola del design italiano degli anni Cinquanta e Sessanta, quella che ha poi disegnato non solo sedie e lampade, ma anche macchine da cucire, televisori, aspirapolveri, frigoriferi,macchine agricole, computer,
macchine utensili e altri oggetti, pensati sempre per un piacevole uso dell’uomo, si è formata principalmente lì, alla fine degli anni Trenta e negli anni Quaranta, visitando le Triennali e leggendo e collaborando con le riviste Domus e Casabella. Fra le tante acute osservazioni fatte in
proposito da Ponti, da Giolli, da Persico e altri, ci piace qui ricordare due illuminanti pensieri di Pagano. Nel 1942 sulle pagine di “Costruzioni-Casabella” nell’articolo Civiltà industriale[12] Pagano scriveva profeticamente, quasi stesse mettendo un proprio messaggio nella bottiglia per i sopravvissuti a quegli orribili anni di regime e di guerra “Si scopriranno un bel giorno, anche da noi, certi rapporti tutt’altro che insignificanti tra il gusto contemporaneo e il cosiddetto “disegno industriale”, si scopriranno influenze tutt’altro che superficiali o fortuite tra la fisionomia della “macchina” e certe predilezioni formali del linguaggio artistico e contemporaneo; si scopriranno parentele ideali e discendenze tutt’altro che occasionali tra ingegneria e poesia moderna, tra costruzione utilitaria normalizzata dell’industria e architettura funzionale ritmicamente sentita come pura espressione di rapporti spaziali”[13]. A questo pensiero vale la pena di aggiungere anche un illuminante passaggio di quella toccante lettera di Pagano alla moglie dal carcere di Brescia nel 1944, in cui ricorda quello che era stata per loro l’assoluta importanza del progetto degli allestimenti e degli spazi espositivi, che comprendeva, nella visione di Pagano, in generale gli interni e tutti gli elementimobili d’allestimento, in primis l’arredo: “Spesso, nella notte, tra gli intervalli della ronda, m’abbandono ai ricordi e sollevo il coperchio delle antiche memorie. Vorrei condurre il sogno ai momenti più belli: al tuo sorriso, al plauso degli amici, alle vittorie di tante architetture provvisorie. Ma inciampo invece nei rottami […]”[14].
Queste parole di Pagano che sembrano richiamare quell’idea di “oltre l’architettura” e di “profezia dell’architettura” lasciata nel 1936 come testamento culturale dall’amico Persico[15], troveranno un immediato riscontro nel dopoguerra, dove l’impegno dei giovani architetti italiani
partirà proprio dal disegno degli interni e in particolare dal disegno degli elementi che costituiranno i punti focali di nuovi paesaggi domestici. Questa esperienza, che è stata alla base della formazione del design del mobile italiano, è ben testimoniata in un articolo pressoché sconosciuto di ben sette pagine, firmato da Ernesto Nathan Rogers, per la rivista Vogue, edizione America del 1949, intitolato profeticamente, “Milan: Design Renaissance”[16]. Un servizio di eccezionali fotografie “costruite” da un giovanissimo, ma già ineccepibile Irving Penn, mostra gli interni appena realizzati delle case di Marco Zanuso, di Franco Albini, di Giovanni Romano, dello studio di Vittoriano Viganò, di altre case disegnate dai BPR e da Luigi Caccia Dominioni, oltre a dei bellissimi ritratti di Franco Albini, Ignazio Gardella e di un gruppo di architetti (designer?) composto dai più giovani Anna Castelli Ferrieri, Marco Zanuso, Gentili Tedeschi, Tevarotto, insieme ai più maturi Giovanni Romano e Gabriele Mucchi. Negli interni appaiono in primo piano elementi d’arredo, disegnati dagli stessi progettisti: la libreria “Veliero” di Franco Albini, la poltroncina “Tre pezzi” di Vittoriano Viganò, la poltrona smontabile, poi detta “Maggiolina” di Marco Zanuso. Ma il disegno del mobile ritorna anche in un elegante style-life dedicato a un modellino di poltroncina “organica” disegnato da BPR per un concorso del MoMA di NY, oppure con la forte presenza di originali oggetti d’affezione per quei giovani moderni, quali la poltroncina pieghevole “Tripolina” o la storica poltroncina “Chiavarina”. A leggere il testo di Rogers si capisce quanto fossero originali e stimolanti le proposte che gli architetti-designer italiani stavano presentando al pubblico americano. Basti leggere questi brevi passaggi: “fortunatamente, Milano occupa una posizione di mezzo tra gli estremi dell’antico e del moderno. […] È tipico dell’arredamento e delle decorazioni italiane non solo di usare una larga varietà di materiali ma anche di accostare insieme più stili differenti. […] È usuale in Italia inserire nuovi arredi in vecchi spazi o costruire ville moderne all’interno delle quali vi si trovano numerose antichità. […] I mobili disegnati dal gruppo milanese raggiunsero qualità leggerezza e flessibilità così come qualità pratiche e concrete. Questo va molto più a fondo della mera superficie
lucida, perché è il frutto di un’alleanza consapevole di utilità e bellezza. […] Per questo motivo, com’è stato detto in precedenza, particolari elementi decorativi hanno lo stesso obiettivo delle macchine da corsa; affianco al loro valore intrinseco essi aggiungono una certa quantità di design sperimentale che eventualmente entrerà della produzione di massa”[17]. Può essere utile ricordare che nel 1950, il grande designer americano Walter Dorwin Teague, in “viaggio d’esplorazione in Italia” per organizzare la mostra “Italy at Work” scriverà un resoconto
per la rivista “Interiors”[18], nel quale esprime il suo vivo interesse per la libertà e l’inventiva dei designer italiani, non soggetti alle regole del grande commercio ne alle esigenze della produzione di massa. Teague, quasi a rispondere a Rogers, concludeva che quella dinamica rinascita
della produzione e della progettazione italiana stava “muovendo i primi passi”, ma avrebbe fatto ancora molta strada.
Quella strada, che qui vogliamo ricordare nel rapporto tra cultura dell’abitare esercitata nel progetto degli interni e cultura del design espressa nel disegno del mobile, è stata segnata da molte tappe significative. Ricordiamo gli appuntamenti fondamentali delle Triennali di Milano, o ancora le proposte presenti in mostre quali “Colori e forme della casa oggi” alla Villa Olmo di Como nel 1957 o “La casa d’oggi” al Palazzo Strozzi di Firenze nel 1965, dove in entrambe hanno segnato il passo le brillanti visioni di interni “destrutturati” dei F.lli Castiglioni portatori di un radicale approccio anti-sistemico del design italiano. Un percorso che ci porta alla tappamiliare dellamostra “Italy: the New Domestic Landscape” alMoMA di NY del 1972 dove si realizzano delle proposte di interni sperimentali denominati “environments” ideati da
Ettore Sottsass, Gae Aulenti,Marco Zanuso,Mario Bellini, Gaetano Pesce, Ugo La Pietra, gli Archizoom.
In particolare, questa importante mostra internazionale curata da Emilio Ambasz, ha colto nel segno facendo la scelta di utilizzare il concetto di “paesaggio domestico”, evitando di chiudere il discorso alla semplice sfera dell’“industrial design”, per spiegare la forza dirompente di quegli oggetti che prima di essere prodotti industriali erano innanzitutto espressioni di un nuovo “modo” di abitare, di uno stile di vita, simbolo di altri comportamenti possibili. Da allora questa consapevolezza che le prospettive di un nuovo paesaggio domestico avrebbero
costituito l’orizzonte progettuale in continuo mutamento dell’abitare contemporaneo ha determinato la formazione di una più forte ed autonoma lettura progettuale della cultura del design rispetto alla definizione dei luoghi, degli spazi e degli ambienti che si determinano nelle
società contemporanee a tutte le scale. In particolare la cultura del design italiano con le sue radici umanistiche, artistiche e artigianali-popolari ha spesso saputo dare forma a modelli alternativi, imprevedibili, dei “controtipi”, in grado di soddisfare o addirittura sollecitare il dischiudersi di nuove forme di “habitat” e convivenza.
In tal senso la temporaneità, la mobilità, la trasformabilità, la flessibilità, la variabilità, la componibilità, il disegno industriale dei materiali, la domotica, le interscambiabilità funzionali, sono tutti temi che appartengono alle ricerche storiche della cultura del design e sono diventati
ormai caratteri salienti delle nuove esperienze e ricerche dell’abitare. Ci si augura quindi che un coraggioso sforzo di aggiornamento e di apertura mentale si attivi tra quella parte della cultura architettonica che ha a cuore le sorti dello “spazio primario”, per incontrarsi in un sano confronto con la cultura del design intorno al futuro dell’abitare in tutte le sue nuove e mutevoli estensioni.

(1) G. Bosoni, A. Rebaglio, F. Scullica, (2012). The Contemporary Interior Landscape, Corso di laurea in Design degli interni, Scuola del Design, Politecnico di Milano, edizioni Abitare / RCS.
(2) Jeremy Rifkin (2011). La Terza Rivoluzione Industriale: Come il “potere laterale” sta trasformando l’energia, l’economia e il mondo, collana Oscar Mondadori, Arnoldo Mondadori Editore.
(3) cfr. Luciano Floridi (2014). The Fourth Revolution, How the Infosphere is Reshaping human Reality, Oxford University press; Peter Marsh (2013). The New Industrial Revolution. Consumers, Globalisation and the End of Mass Production, Yale University.
(4) G. Bosoni (2006), Of theModo Italiano and ItsWays, History of the “Things” Expressions and Symbols of Italian Creativity, Il Modo italiano, Italian Design and Avant-Garde in the 20th Century, The Montreal Museum of Fine Arts, Skira edizioni; G. Bosoni (2008), Italian Design, Museum of Modern Art, 5 Continents Editions, New York – Milano.
(5) La rivista Casabella nasce nel gennaio 1928 con il nome “La Casa bella”, sottotitolata “Arti e industrie dell’arredamento”, con la direzione di Guido Marangoni, uno dei più importanti critici d’arte italiani di quell’epoca.
(6) La rivista Domus viene fondata dall’architetto Gio Ponti il 15 gennaio 1928 con il sottotitolo “Architettura e arredamento dell’abitazione moderna in città e in campagna”.
(7) “Rinunciò ad elaborare concezioni spaziali autonome, ma trasformava le cavità immettendo nella loro rarefatta stesura aggettivi capaci di farle vibrare”. Così scriveva Bruno Zevi nel necrologio per lamorte di Albini, Puritano più di Kafka, pubblicato sull’”Espresso” il 20 settembre 1977, ripubblicato in Cronache di architettura, vol. XXI, n.1201, Laterza, Roma-Bari 1978.
(8) L. Lionni, Edoardo Persico, in “Il Risorgimento grafico. Rivista mensile di arte e tecnica grafica”, gennaio 1936.
(9) Espressione spesso usata da Giuseppe Pagano per definire gli allestimenti per le esposizioni, ma estendibile anche tutti i tipi d’interni allestiti con senso di temporalità e trasformabilità. Vedi nota 17.
(10) Con queste parole terminava il celebre testo di Edoardo Persico Profezia dell’architettura. Vedi nota 18.
(11) Giampiero Bosoni, Luciano Baldessari, Mostre dei tessuti 1929-1936; G. Bosoni, “Exposizioni – L’eccellenza dell’arte di esporre”, sezione opere scelte, sito WEB “Exposizioni.com”.
(12) Domus, firmato redazionalmente, (agosto 1942), La casa e l’ideale, “Domus”, n.176.
(13) G. Pagano Pogatschhnig (luglio 1942), Civiltà industriale, in “Costruzioni-Casabella”, n.175.
(14) ibidem.
(15) Inizio di una Poesia di Pagano scritta nel giugno 1944 nel carcere giudiziario di Brescia. Da “Costruzioni-Casabella”, n.195/198, fascicolo speciale dedicato all’architetto Giuseppe Pagano, dicembre 1946, p.12.
(16) E. Persico, Profezia dell’architettura, (conferenza tenuta la sera del 21 gennaio 1935 a Torino), pubblicata postuma su “Casabella” n.102-103, pp.2-5.
(17) Ernesto N. Rogers (15 settembre 1949),Milan: Design Renaissance, in “Vogue”, edizione U.S.A., pp.152-157, 183. Servizio fotografico di Irving Penn.
(18) Ernesto N. Rogers, Op.cit.

Bibliografia

¶ Bosoni, G., Il Modo Italiano, design e avanguardie artistiche in Italia nel XX secolo. Milano: Skira edizioni.
¶ Bosoni, G. (2008). Italian Design, Museum of Modern Art, 5 Continents Editions, New York – Milano.
¶ Domus (firmato redazionalmente), La casa e l’ideale, in “Domus”, n.176, agosto 1942.
¶ Pagano, G., Civiltà industriale, in “Costruzioni-Casabella”, n.175, luglio 1942.
¶ Pagano, G., “Costruzioni-Casabella, n195/198, dicembre 1946.
¶ Persico, E., Profezia dell’architettura, “Casabella” n.102-103.
¶ Rogers, E. N., Milan: Design Renaissance, in “Vogue”, edizione U.S.A., settembre 1949.
¶ Teague W. D., Italian Shopping Trip, in “Interiors”, vol. CX, n.4, novembre 1950.
¶ Zevi, B., Puritano più di Kafka, in “Espresso”, (1978) ripubblicato in Cronache di architettura, vol. XXI, n.1201, Roma-Bari: Laterza.

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