Tonino Paris
[Editoriale] [diid 59_15]
Se fossimo alla ricerca di una figura chiave in grado di rappresentare le connessioni naturali tra architettura e design nella dimensione laica del termine progetto, questa certamente è Le Corbusier. È stato il progettista più complesso del secolo scorso che, in nome della modernità tout court, ha declinato l’architettura nella metafora della machine à habiter. Una macchina che ha coniugato immaginazione e funzionalità all’interno della ricerca sulle abitazioni dedicate alle nuove classi sociali. Ed è per mezzo di questa tensione alla sperimentazione attraverso il mito della macchina perfetta, che egli trasferisce negli edifici imodelli e le tecnologie produttive proprie di quegli artefatti industriali icona dei tempi moderni. Non a caso da queste valutazioni Le Corbusier ricava una relazione tra le scienze dell’architettura e la cultura del design che favorisce per case e arredi innovazioni tipologiche e morfologiche fondate sul principio degli standard industriali.
#uomo #macchina #ricerca #modernità #progetto
L’anno del cinquantesimo anniversario dellamorte di Le Corbusier, il 2015, “diid” lo celebrerà dedicandogli il numero 60. Ma già in questo mio intervento, considerato il tema della rivista, “architettura e design”, si possano anticipare alcune riflessioni che attraversano l’argomento percorrendo l’opera di LC. Credo che, anzi, valutando la circostanza e muovendoci con una pervicacia a favore di una didattica necessaria, si debba far conoscere e comprendere criticamente alla comunità degli studenti delle scuole d’architettura e design, la lezione di un grande
maestro, forse il più grande del novecento per la profondità e l’ampiezza dei suoi interessi sul tema dell’abitare e per un “approccio operativista” alla cultura del progetto in tutte le sue scale. Una lezione da troppo tempo dimenticata da quanti rincorrono i luccichii del “Sublime al tempo del contemporaneo” evocato in tempi recenti da Vittorio Gregotti. LC è stato designer, architetto, urbanista; ha disegnato, dipinto e scolpito, e ha poi pubblicato le sue teorie e i suoi progetti dando luogo a una coerente “proposta intellettuale”. Eppure nella sua Carta d’Identità alla voce professione egli scrisse homme de lettre, valorizzando l’importanza delle letture e dei libri, l’influenza pertanto degli intellettuali del tempo, ma non solo, che hanno influito a favore del suo impegno di progettista. Cosciente per questo, più di altri, dei
rapporti costanti fra la letteratura e l’opera artistica e architettonica. Ed è proprio esaminando la laboriosità di questa lezione che dovremmo riconquistare nelle scuole di architettura quei terreni ibridi ai limiti o esterni ai sempre più angusti confini disciplinari. Piuttosto che alzare steccati con il pretesto di tutelare presunte autonomie o la specificità dei saperi e delle competenze – che sterilizzano viceversa i complessi percorsi che attraversano la cultura del progetto dell’artificiale – dovremmo, secondo l’insegnamento di LC, comprendere che l’abitare è un complesso sistema di relazioni fra le “cose” progettate e come queste interagiscono direttamente con le persone, e come poi il tutto partecipa alla composizione di un più ampio sistema di rapporti sociali. Egli ci ricorda che gli oggetti, le case, le città si fanno per migliorarne la vita dell’uomo.
Guardare dall’alto › Dobbiamo insomma trarre dal suo insegnamento la capacità di comprendere il tempo che viviamo. Le Corbusier ha sempre presente questa condizione: osservare il nuovo dei tempi che corrono come tensione al cambiamento. Un esempio singolare di questa tensione è dato da un commento, che egli trascrive sui suoi appunti, dopo un viaggio in aereo: “…a una quota di 500 o 1000 metri, e a 180 o 200 chilometri l’ora, la visione aerea è la più calma, la più regolare, la più esatta, che si possa desiderare: si apprezza il pelo maculato rosso o nero di una mucca. Tutto assume la precisione del disegno […] non sono che l’aereo, il transatlantico inmare e il passo delmarciatore sulla strada, che permettono ciò che possiamo chiamare visioni umane: si vede, l’occhio comunica con calma”[1]. Alla civiltà della macchina paga inoltre, consapevolmente, il suo tributo quando scrive “Verso un’architettura”: “l’uomo intelligente, freddo e calmo ha guadagnato le ali. Chiediamo uomini intelligenti, freddi e calmi per costruire la casa, per tracciare la città”[2].
Questo suo modo di osservare, già rilevato da Jeanne-Pierre Giordani[3], oltre ad aprirci a nuovi spazi di conoscenza, sollecita in noi uno stato emozionale che si sublima in proposta: “…quando si è saliti su un aereo da ricognizione, e si è diventati uccelli plananti su tutte le baie,
quando si è girato attorno a tutti i picchi, quando si è entrati nell’intimo della città, quando si è afferrato con un semplice colpo d’occhio a volo d’uccello tutti i segreti che la città nasconde al povero terrestre sui suoi due piedi, quando si è visto tutto e compreso tutto; quando si è girato e si è ritornati più volte […] quando per merito dell’aereo, tutto vi è diventato chiaro, e questa topografia – questi corpi così movimentati e complessi – l’avete assimilata; quando vinte le difficoltà, siete stati presi dall’entusiasmo, avete sentito nascervi dentro delle idee, siete entrati nel corpo e nel cuore della città, avete capito una parte del suo destino”[4].
Ecco allora che egli è pronto a disegnare, integrandole nel paesaggio che ha visto dall’alto, le sue proposte per il futuro di quei luoghi.
Le sue lezioni › Le Corbusier le sue “teorie” le esprime in tre testi fondamentali usciti fra 1923 e il 1925: Vers une architecture, Paris 1923; Urbanisme, Paris 1924; L’art décoratif d’aujourd’hui, Paris 1925; tre testi che completano con gli articoli sparsi nella rivista artistico-letteraria L’Esprit Nouveau, il suo “moderno discorso” che tiene insieme l’architettura, l’urbanistica e il design. Le Corbusier, in particolare, concepisce il design (il disegno industriale) in rapporto agli standard quantitativi della produzione in serie, un pensiero che lo conduce alla produzione di mobili ergonomici come quelli in acciaio tubolare leggero, progettati nel 1928 con Charlotte Perriand, e presentati al Salon d’Automme del 1929. Oggetti emblematici di un approccio lontano dai condizionamenti provenienti dall’artigianato,ma proiettato ai nuovi processi produttivi che danno vita a nuovi linguaggi. Vers une architecture è il libro che, tradotto in inglese e tedesco, pose Le Corbusier all’attenzione internazionale. Nel testo egli sviluppa una narrazione teorica nella quale compone – con frammenti che mescolano affermazioni apodittiche ad immagini utilizzate come objet à réaction poétique – un insieme di riferimenti e sollecitazioni interne a una impostazione ideologica chiara e unitaria, ancorché fondata su riferimenti a diversi ambiti disciplinari come la scienza, l’architettura, l’ingegneria e l’arte nelle sue varie declinazioni. In tutto il libro egli “guarda” al passato vivendo il presente come premonitore del futuro, e narra di una architettura come espressione poetica del “gioco sapiente, corretto e meraviglioso dei volumi sotto la luce”, assimilandola tuttavia allametafora della machine à habiter che assegna al tema della funzione un ruolo decisivo per la costruzione dell’ambiente urbano. Nel complesso LC elabora un “trattato per l’architettura moderna” dichiarando con convinzione la necessità di misurarsi con “i tempi nuovi” per innovare la cultura dell’abitare contemporaneo e più concretamente la concezione formale e funzionale dell’architettura e dunque i modelli, le tipologie, le tecnologie. Una missione che LC intende sviluppare in relazione ai movimenti artistici della sua epoca, luoghi (anche metaforici) dove convivono l’esprit de geometrie ed esprit de finesse del pensiero filosofico della tradizione francese; “spiriti” in grado di produrre una sintesi visionaria che coniuga coerentemente immaginazione, bellezza ed efficienza.
Cinque punti › La volontà d’interpretare i “tempi nuovi” Le Corbusier la espone nel “manifesto della sua nuova architettura”, nel quale teorizza i suoi noti cinque punti – Pilotis, Plan libre, Fenêtre en longueur, Toit terrasse, Façade libre – che rende visibili nel 1928 con la costruzione della famosa Villa Savoye, a Poissy. L’edificio è sollevato da terra poggiando su Pilotis (pilastri) così da essere libero e permeabile al passaggio con il terreno; lo scheletro portante in pilastri di cemento armato, rende i piani completamente liberi da vincoli murari (Plan libre, piano libero), così da consentire lamassima flessibilità nell’organizzazione degli spazi; la facciata dell’edificio, non più portante, simostra come uno schermo che può essere finestrato anche per tutta la sua lunghezza (La Fenêtre en longueur, finestra a nastro) restituendo all’abitazione una luminosità diffusa e un più diretto rapporto con l’esterno (Façade libre, facciata libera). Inoltre il tetto piano a giardino (Toit terrasse) restituisce all’uomo un virtuoso rapporto con il verde. Infine, una Promenade architecturale, collega la quota dello spazio abitato con il tetto giardino per mezzo di una rampa che attraversa la casa dall’interno all’esterno ed evoca l’idea di architettura come
“gioco sapiente, corretto e meraviglioso dei volumi sotto la luce”.
La nuova cultura dell’abitare › Il suo impegno per una “architettura civile” è frutto di una sua “ideologia del fare” che lo spinge a dedicare tutte le sue azioni da progettista all’uomo inteso come umanità. Si tratta evidentemente dell’uomo nuovo della civiltàmacchinista e industriale. Ed è per questo che nel libro Urbanisme (e poi, via via nei testi dedicati alla città) egli propone un’altra cultura dell’abitare. Interpreta pertanto l’urbanistica è l’architettura come strumenti e nel contempo manifestazioni delle mutazioni che il progresso e lo sviluppo tecnologico determinano nella moderna società. Non dimentica inoltre che la pianificazione e la progettazione dello spazio delle città sono “attività” decisive per costruire nuovi percorsi di vita e di sviluppo sociale. A una nuova cultura dell’abitare espressa nella teoria e formalizzata mediante “visioni disegnate”, fra gli anni 1922 e il 1930, sono ispirati i progetti del piano per una città di 3 milioni di abitanti, e la Plan Voisin, la proposta per il centro di Parigi esposta nel 1925 all’Esposizione internazionale delle arti decorative di Parigi. In questa occasione presenta anche il padiglione dell’Esprit Nuoveau. ovvero la rappresentazione al vero di un modello di abitazione unifamiliare da comporre come modulo standardizzato per il sistema edilizio che egli chiama Immeuble villas, un sistema propedeutico alla ideazione dell’Unitè d’habitation.
La machine a habiter › Egli – come del resto Gropius, Mies van der Rohe e quanti hanno alimentato la cultura razionalista del Movimento Moderno – ha inteso il suo lavoro come una missione per la società del suo tempo che meritava un diverso modello di città. Un modello
che LC sperimenta nei progetti di Ville Radieuse e nella casa la Machine a habiter. La progettazione del quartiere Weissenhof a Stoccarda nel 1927, ad esempio, è l’occasione in cui si fissa stabilmente (e retoricamente) il passaggio alla cultura dell’abitare moderno. Com’è noto, il Deutscher Werkbund organizza un esposizione che comprende un nuovo quartiere d’abitazione in cui il progetto degli edifici è attribuito ad un gruppo di architetti che pensa e fa una diversa architettura. Fra questi vi è LC, per il qualeWeissenhof diviene una straordinaria occasione di confronto su un programma di sviluppo edilizio che aveva a centro un alto livello di prefabbricazione e precisi vincoli tipologici (case a schiera, in linea, monofamiliari, ecc.). Il quartiere fu costruito in 5 mesi e LC nel suo intervento esprime i suoi principi (i già citati cinque punti), e per l’occasione, come già in altre esperienze[5], materializza l’“abitare nuovo per l’uomo nuovo”, con i metodi propri della rivoluzione industriale: ovvero non più costruire con i criteri tradizionalima “produrre” con quelli propri dello standard. In questo caso i concetti di tipo, di modello, di componente, di prestazione, diventano “parole chiave” di una originale “letteratura industriale”. Si tratta di una “regola” che LC sperimenta compiendo una ricerca continua nei progetti per l’abitazione, progetti che più di altri rappresentano l’attualità dei bisogni delle nuove classi sociali.
In questa costante tensione alla ricerca sperimentale, Le Corbusier tende sempre più a trasferire nell’architettura modelli, tecnologie. sistemi produttivi propri di quegli artefatti industriali che considera icone dei tempi nuovi. Ed è proprio in questo transfert ideologico ed effettivo che LC esprime pienamente il suo rapporto fra architettura e design (inteso come industrial design )[6]. Nell’innovazione tecnologica e formale dei prodotti industriali ad alto contenuto prestazionale, egli trova ciò che può rinnovare l’abitazione nei suoi assetti tipologici, nell’adozione di standard capaci di migliorare la vita di chi vi entra in contatto. Basterebbe ulteriormente osservare nella sua ricerca nell’ambito dello studio dell’aggregazione della cellula abitativa, come diviene fondamentale l’iterazione seriale e l’assemblaggio dei vari componenti sempre identici a se stessi. LC sostiene che: “le imprese di costruzione debbono accordare i loro metodi con le esigenze dell’epoca macchinista, eliminando la piccola costruzione privata. Non si devono più fare le case a metri, ma a chilometri… si deve dimenticare la casa esistente, l’attuale codice dell’abitazione, tutte le abitudini e tutte le tradizioni. È necessario studiare con sangue
freddo le nuove condizioni nelle quali si svolge la nostra attuale esistenza. Si deve sentire l’influsso della tecnica moderna”.
[5] Ad esempio, nel 1924, a Pessac dove il committente è l’industriale Henry Frugès, uomo di grande sensibilità artistica che crea con l’architetto un rapporto di collaborazione e stima reciproca. Il quartiere Frugès è un progetto residenziale per operai con abitazioni economiche da produrre in serie. Le case, impostate su un modulo di 5 x 5 metri, sono assemblate in vari modi. Era negli intenti di LC l’impiego delle tecnologie di avanguardia del suo tempo e, qui, ci si riferisce specialmente alla tecnologia del béton projetè per ottenere una grande rapidità di esecuzione. Ma nonostante che, fosse stata acquistata l’intera attrezzatura dalla Ditta specializzata Ingersoll-Rand, l’iniziativa fallì per l’incompetenza dei tecnici locali. Caddero pertanto le basi della standardizzazione e della economicità, sulla quale si fondava il nuovo cantiere sperimentale. [6] “L’architettura dei tempi nuovi non è ancora nei palazzi e nelle case. Nulla lo ha permesso, tutto vi si è opposto, poiché il programma sociale non è stato formulato o è incompiutamente formulato, oppure è intorbidato dalla zavorra rognosa dei residui, delle decomposizioni. L’architettura dei tempi moderni sta negli oggetti stessi che sono il prodotto dei tempi, in tutto ciò che è soggetto all’indagine del nostro occhio, a ciò che l’occhio vede,misura e apprezza. Ed ecco ciò che costituisce da cento oppure da dieci anni una prodigiosa apparizione, una novella fauna: le macchine, nella più vasta accezione di questa nozione”.
(1) Premier croquis pour Rio de Janeiro,1929 (FLC, Dessin n. 5032,5033).
(2) Le Corbusier, (1923). Vers une Architecture. Paris: Crès &Cie.
(3) Giordani J. P., (1987). Visioni geografiche in Casabella 531-532 , p.18-33.
(4) Giordani J. P., (1987). Op.cit.
(5) Ad esempio, nel 1924, a Pessac dove il committente è l’industriale Henry Frugès, uomo di grande sensibilità artistica che crea con l’architetto un rapporto di collaborazione e stima reciproca. Il quartiere Frugès è un progetto residenziale per operai con abitazioni economiche da produrre in serie. Le case, impostate su un modulo di 5 x 5 metri, sono assemblate in vari modi. Era negli intenti di LC l’impiego delle tecnologie di avanguardia del suo tempo e, qui, ci si riferisce specialmente alla tecnologia del béton projetè per ottenere una grande rapidità di esecuzione. Ma nonostante che, fosse stata acquistata l’intera attrezzatura dalla Ditta specializzata Ingersoll-Rand, l’iniziativa fallì per l’incompetenza dei tecnici locali. Caddero pertanto le basi della standardizzazione e della economicità, sulla quale si fondava il nuovo cantiere sperimentale.
(6) “L’architettura dei tempi nuovi non è ancora nei palazzi e nelle case. Nulla lo ha permesso, tutto vi si è opposto, poiché il programma sociale non è stato formulato o è incompiutamente formulato, oppure è intorbidato dalla zavorra rognosa dei residui, delle decomposizioni. L’architettura dei tempimoderni sta negli oggetti stessi che sono il prodotto dei tempi, in tutto ciò che è soggetto all’indagine del nostro occhio, a ciò che l’occhio vede,misura e apprezza. Ed ecco ciò che costituisce da cento oppure da dieci anni una prodigiosa apparizione, una novella fauna: lemacchine, nella più vasta accezione di questa nozione”.
7 Novembre 2017
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4 Novembre 2017
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diid disegno industriale | industrial design Book Series approfondisce l’evoluzione e gli esiti della ricerca e sperimentazione progettuale e teorica nel campo del design. Ogni numero accoglie lo sviluppo di un tema rappresentativo del dibattito che attraversa la fenomenologia del sistema prodotto nell’estensione tecnica e culturale. A comporre questo racconto a più voci e con diversi punti di vista sono chiamati ricercatori, studiosi e professionisti della scena nazionale e internazionale che compongono il Centro Studi diid.